di Roberto Quaglia – roberto.info
All’indomani della vittoria di Trump alle elezioni presidenziali americane, Gianluigi Paragone condusse una puntata de La Gabbia Open dove fra gli altri si fronteggiavano Giulietto Chiesa e Marcello Foa, due giornalisti molto diversi fra loro, con origini e storie radicalmente differenti, due tradizioni politiche antitetiche alle spalle, insomma, due persone che secondo la logica in cui siamo cresciuti avrebbero dovuto dissentire su praticamente tutto.
Invece, analizzando non solo l’esito delle elezioni americane, ma l’intero panorama politico internazionale contemporaneo, la visione di Chiesa e Foa concordava in modo sorprendente. In modo sorprendente, secondo il modo vecchio di intendere la politica, ma in modo per nulla sorprendente secondo il paradigma della Politica 2.0
La politica a cui siamo abituati, che potremmo chiamare la Politica 1.0, è ormai finita. Era la politica di ideologie che non ci sono più, in una società fatta di persone con identità di gruppo che stanno scomparendo, collocata in un mondo senza internet che non c’è più nel quale la realtà condivisa generata dai media era incontestabile, cosa che grazie ad internet non è più.
Naturalmente, la Politica 1.0 ha la sua buona dose di inerzia e nelle convulsioni della sua agonia causerà sconquassi anche importanti. Naturalmente non sappiamo come si evolverà la Politica 2.0. Non abbiamo la sfera di cristallo. Ma possiamo fare delle ipotesi.
Quasi certamente la Politica 2.0 avrà due facce.
Nella sua manifestazione utopica la sua forza di trazione verrà dalla forza aggregante della rete. Soprattutto, essa non potrà prescindere dalla realtà, per lo meno non troppo, non certo nella misura incredibile in cui dalla realtà oggi prescinde la Politica 1.0.
Nella sua manifestazione distopica la Politica 2.0 sarà invece un impietoso meccanismo quasi-deterministico, in grado di utilizzare Big Data per formulare immagini psicometriche di ciascuno di noi che permetteranno di colpirci con un marketing politico personalizzato in grado di sedurci a colpo sicuro. In altre parole, l’ultima frontiera del populismo, le promesse (che non verranno mantenute) personalizzate cittadino per cittadino. Di questo aspetto della politica 2.0 però oggi non parlerò. Non mettiamo troppa carne al fuoco.
Ho illustrato in un paio di miei precedenti interventi la deriva verso l’irreale intrapresa dal mainstream politico-giornalistico occidentale negli ultimi anni. E’ il canto del cigno della Politica 1.0. False rappresentazioni del mondo e di quello che succede che hanno causato un vero e proprio scisma della percezione del mondo delle popolazioni occidentali.
Bisogna rendersi conto che l’entità del cambiamento in atto rivaleggia per portata con quella del crollo del sistema sovietico. E’ una intera visione del mondo quella che si sta rapidamente disfacendo in Occidente, ed il pubblico occidentale per lo più si divide in due.
C’è chi si tiene stretto il paraocchi e sperando di conservare un quieto vivere segue il pifferaio magico del mainstream nella sua disastrosa avventura verso l’irreale, nel mondo delle bugie dove il vero e il falso vengono sistematicamente ribaltati, e c’è invece chi del paraocchi si è liberato, chi si è svegliato o si sta svegliando dal sonno della ragione e finalmente accetta l’onere scomodo di vivere nello poco confortabile mondo del reale e di confrontarsi criticamente con i miti ed i mostri che il mainstream fa danzare davanti ai suoi occhi. Mi riferisco a quei mostri illusori creati ad arte per terrorizzarci così che poi imploriamo protezione: la finta minaccia russa, la finta oppure artefatta minaccia terroristica – tutti meccanismi descritti mirabilmente nel documentario della BBC The Power of Nightmares, realizzato da Adam Curtis nel 2004, forse il canto del cigno della vecchia BBC dai grandi contenuti. Sebbene su alcuni temi il film sia reticente, è tuttavia assai istruttivo e ne consiglio a tutti la visione. Lo trovate in rete.
Cosa vuol dire che una percentuale così elevata ed in costante crescita dei cittadini in Occidente, non solo non si sente più in alcun modo rappresentata dalle forze politiche esistenti, ma si sta ormai emancipando dal mondo illusorio di bugie costruito ad arte dai media?
Vuol dire molte cose, ma quella che ci interessa qui è che si è aperto un nuovo, immenso spazio politico più o meno disabitato. Nessuno ancora bene rappresenta questa crescente massa di cittadini che ha compreso gli inganni della narrativa mainstream e con essa ha quindi per sempre rotto i rapporti.
E’ un vero e proprio movimento, anche se nessuno per ora lo ha ben definito. I guardiani dello status quo esorcizzano questo movimento apostrofando “complottisti” tutti quelli che anche solo di sfuggita ne facciano parte o anche solo vi si avvicinino. Essere “In odore di complottismo”, ecco il Mondo Nuovo dove ricompare il concetto di eresia, travestito.
Basta sconfinare dal perimetro del Pensiero Unico mainstream in disfacimento per venire connotati col vocabolo magico della neolingua, l’epiteto di scomunica moderna: “complottista”.
Ecco allora per il Pensiero Unico i complottisti conclamati, i complottisti sfegatati, i complottisti deliranti, ma anche i complottisti moderati, e soprattutto le persone “normali” con solo qualche sporadica tentazione “complottista” ogni tanto.
Avete mai iniziato un discorso con le parole “non sono un complottista, ma…” – bravi! Bravi! Complimenti per l’escusatio non petita – paura di venire bollati con il marchio dei nuovi paria, eh!?
E più la realtà illusoria mainstream si sfalda, più i guardiani dello status quo disperatamente estendono l’epiteto magico di scomunica “complottista” a porzioni intere di cittadinanza, articoli pseudoscientifici, in realtà farneticanti, vengono pubblicati su importanti testate ove si cerca di mettere in dubbio la sanità mentale di chiunque smetta di credere ai loro miti artefatti e alla loro realtà fittizia. Il modello è quello di rinchiudere i dissidenti in manicomio, proprio come nell’Unione Sovietica, e se ora non lo si può fare materialmente, lo si fa idealmente, simbolicamente. Ma c’è un problema. In Occidente, i dissidenti, cioè coloro che non credono più alle danze ipnotiche allestite dai burattinai, ai miti smerciati come fatti veri, agli attentati false flag spacciati per attacchi di un nemico che non esiste, crescono a velocità impressionante. Quindici anni fa eravamo quattro gatti, oggi siamo milioni. Siamo una percentuale significativa della popolazione. La parola magica di scomunica “complottista” funziona sempre di meno e allora ecco che l’establishment disperatamente cerca di coniare nuove parole magiche. Faked news – è una delle ultime trovate – notizie false, tutto ciò che non è la verità rivelata dai loro media d’ora in poi sono “notizie false” – per definizione. Se una cosa non è detta da loro, non esiste, è falsa. E magari anche inventata da Putin. A chiunque abbia ancora anche solo due neuroni funzionanti colpirà l’entità del delirio. D’altra parte la storia dell’umanità è costellata di deliri eclatanti, quindi nulla di nuovo sotto il sole, ma la stessa storia ci insegna che ogni delirio prima o poi porta a schiantarsi contro il muro della realtà.
La Politica 2.0 non si gioca quindi più nel ristretto teatro delle ideologie a confronto, ma nel più ampio teatro delle realtà in competizione. Lo scontro non è più fra diverse interpretazioni della realtà, ma fra diverse percezioni del reale.
Siamo un gradino più in alto – ma che gradino!
Nella politica 2.0 il dissidente non è più chi considera sbagliato il modello politico vigente, ma chi considera irreale la rappresentazione del mondo del mainstream.
Il dissidente 2.0 ha le vesti dell’antico eretico e questo spiega perché il mainstream, anziché provare a controbattere alle istanze che esso presenta, preferisce bollarlo come “matto”.
Il fatto è però che questi cosiddetti “matti”, chiamateli complottisti, chiamateli dissidenti, scegliete pure l’etichetta che preferite, sono sempre di più. Noi siamo sempre di più. Siamo così tanti da costituire ormai uno spazio politico.
Siamo quindi un nuovo spazio politico, uno spazio composto da milioni di cittadini evasi dalla grande menzogna generale, siamo persone anche molto diverse fra di noi, fra noi c’è gente che si sente di sinistra, c’è gente che si sente di destra, di centro oppure appartenenti ad altre tribù ancora, ma in comune abbiamo la cosa più importante: ci siamo svegliati dal sonno della ragione e non crediamo più alla Grande Menzogna in cui sta sprofondando l’Occidente e a tutte le piccole, talvolta ignobili, talvolta ridicole menzogne che fanno da condimento alla portata principale. Seppure con idee e convinzioni diverse – ci ritroviamo tutti in una nuova realtà. Un nuovo spazio politico che però non è ancora un soggetto politico, ed è quindi logicamente del tutto privo di rappresentanza.
E allora cosa facciamo in questo nuovo spazio, in questa nuova realtà?
C’è chi parla, c’è chi scrive, c’è chi informa, ma soprattutto… ci lamentiamo tutti. La lamentela è un comune denominatore. Ma che cosa vuol dire… lamentarsi? Nel nostro caso, vuol dire sperare ed auspicare che qualcuno faccia le politiche che ci paiono più appropriate e… rammaricarci passivamente del fatto che esse non vengano fatte, senza però assumere nessuna iniziativa concreta affinché i nostri desideri divengano realtà. Come si capirà, non è esattamente il massimo. Ma allora perché, invece di lamentarci, che non serve a niente e non cambia nulla, non facciamo qualcosa? O se già facciamo qualcosa, non ci rimbocchiamo le mani e non facciamo di più?
E non mi riferisco – badate bene – al litigare, che qui sembra il passatempo preferito di tutti. Uno non fa in tempo a liberarsi dalla palude delle menzogne mainstream, e si ritrova subito invischiato in mille litigi con gli altri “liberati”, bisticci su cosa sia vero e cosa sia falso, su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e chi più ne ha più ne metta. Grande! In pratica un divide et impera fai da te, cioè noi ci dividiamo e loro imperano alla facciaccia nostra. Ma come siamo intelligenti, accipicchia.
Se invece focalizzassimo le nostre energie sulle grandi cose che ci uniscono, anziché sulle piccole cose che ci dividono, magari riusciremmo anche a combinare qualcosa.
Insomma, venendo al nocciolo, o prendiamo qualche iniziativa oppure la smettiamo di lamentarci, che è un comportamento poco dignitoso.
Che ci piaccia o no noi siamo un movimento, un movimento verso il reale, contro il delirio del mainstream e verso il reale, perché ci siano mossi e continuiamo a muoverci in direzione del reale, e siamo già in milioni ed il nostro numero continua a crescere. Certo, fra di noi c’è anche gente fuori di testa, ma qualche scompenso è fisiologico quando ti devi confrontare col dato di fatto che tutti i tuoi punti di riferimento precedenti – il tuo telegiornale preferito, i giornali che hai sfogliato per anni, tutti ti hanno sempre preso in giro, ti hanno mentito e adesso che lo sai non valgono più. E’ un trauma che crea incertezza e confusione. Ci vuole un po’ di elasticità e comprensione.
Possiamo anche continuare a far finta di credere che questo movimento, che c’è ed è innegabile, non sia un movimento politico, ma per quanto tempo ancora?
Meglio piuttosto darsi una svegliata e comprendere che la Politica 2.0 è veramente diversa da quella a cui siamo da sempre abituati, e molte delle sue proprietà ci sono tuttora ignote, sono proprietà emergenti, come dice il bardo “le scopriremo solo vivendo”.
Diamo ancora un’occhiata al vecchio mondo in disfacimento della Politica 1.0:
La finta sinistra, la finta destra ed il finto centro – forse lo avrete notato – sono tutti uniti e compatti verso gli eretici, che saremmo noi, per il semplice fatto non ci beviamo più le loro storielle e rappresentazioni.
Però noi invece siamo tutti divisi. Loro sono uniti, noi siamo divisi in mille conventicole.
Ed è qui che ci rendiamo conto che il vero scontro politico oggi non ha più nulla a che vedere con le categorie della destra e della sinistra e degli antichi schieramenti. Oggi il confronto è fra veri e propri mondi differenti, non più fra diverse interpretazioni della realtà, bensì fra vere e proprie diverse percezioni della realtà.
Le categorie classiche della politica – per esempio l’approccio socialista contro l’approccio liberista e viceversa, sono surclassate dalle emergenti categorie di ordine superiore – il vero contro il falso, il reale contro l’irreale – e viceversa! Non è più una battaglia di opinioni, ma una battaglia di percezioni!
Chiariamo bene a scanso di equivoci: le differenza che separano le persone che si sentono di sinistra da quelle si sentono di destra esistono davvero ed esisteranno sempre, e sono differenze di mentalità, di attitudine alla vita e alla società, differenze culturali, intellettuali, di estrazione sociale, di tradizioni familiari, di convenienza, in altre parole differenze antropologiche che riflettono un dualismo e queste differenze le ritroviamo in ogni luogo del mondo e non se ne andranno mai via. Si tratta però di differenze di interpretazione a partire da una stessa realtà percepita. Ma la vera emergente divisione nel mondo occidentale oggi è fra chi vive nel mondo creato dai media mainstream e chi da esso si è emancipato e non ci vive più.
Ed è per questo che oggi possiamo avere, come ho menzionato all’inizio per fare un esempio, due giornalisti così diversi fra loro come Giulietto Chiesa e Marcello Foa dalla stessa parte della barricata, e in America possiamo avere un Paul Craig Roberts, ex membro del governo di Ronald Reagan, sullo stesso fronte di un Michel Chossudovsky professore universitario canadese di tutt’altra estrazione e direttore del sito Globalresearch. Nella Politica 2.0 la logica degli schieramenti è cambiata, ha fatto un salto di qualità, e prima lo capiremo tutti e meglio sarà.
Evito di includere i 5stelle in questo ragionamento, poiché essi costituiscono un’altra realtà più complessa e da movimento stanno ormai mutando in partito e si preparano a governare, e ancora non sappiamo come. Il movimento verso il reale che osservo e di cui parlo si sovrappone in certe sue aree con il popolo dei 5stelle, ovvero con parti della sua base, ma certamente non in altre. Il fenomeno 5stelle si è certamente alimentato dall’esistenza di questo movimento, così come in altri paesi il partito dei pirati ed altre formazioni antisistema.
Probabilmente l’iniziativa di dare un contorno ed un’identità unitaria a questo grande movimento che già esiste dovrebbe partire da tutti quelli che veicolano informazione in modo indipendente, visto che questo grande scisma in seno alla società occidentale è tutto sommato generato da loro, dalla libera circolazione di informazione non allineata. Chiunque lavorasse a questo progetto dovrebbe comprendere che affinché il movimento possa riconoscersi nella definizione che di esso si dovesse dare, è necessario che si proceda con la massima lucidità, il che significa definendo il movimento esclusivamente per il minimo comune denominatore che unisce tutti quelli che ne fanno parte, in altre parole per il fatto stesso ed esclusivo di essere evasi dal mondo illusorio dipinto dal mainstream con le sue menzogne. Sembra poco, ma è in realtà moltissimo. Parliamo di due mondi completamente diversi. Se invece ognuno vorrà proiettare sul movimento tutte le proprie istanze personali, di retaggio ideologico, morale, di costume o quant’altro, il progetto è destinato a fallimento immediato. Il divide et impera fai da te non è una buona idea. Politicamente, si chiama suicidio.
Il movimento – quello che esiste, che già c’è, ma non si è ancora visto allo specchio, non si è battezzato, non si è ancora visto come una possibile unità – è un movimento transpartitico, transideologico e transnazionale. Di tutto ciò si dovrà tenere conto.
Non posso predire quale potrebbe essere una destinazione o una finalità chiara di questo movimento, anche perché sarà il movimento stesso a stabilirle, ammesso e non concesso che si capaciti del fatto di essere un movimento – che il movimento in altre parole prenda coscienza di sé. Possiamo però cercare di innescare questa presa di coscienza e questa aggregazione, di favorirla ed eventualmente di accompagnarla fino a quando non saprà stare sulle sue sole gambe. Fondamentale è prendere atto che il movimento esiste, utile e importante è darli una mano a definirsi per ciò che esso è e nulla di più. Anche la definizione sarà un work in progress.
Né posso predire quale nome vorrà assumere questo movimento, provvisoriamente mi piace chiamarlo un po’ scherzosamente “fermare il delirio”, facendo il verso ad una effimera comparsata politica di qualche tempo fa in Italia. Ciò che importa comprendere è che si tratta di un movimento verso il reale. Ritengo sia tempo di fare qualcosa di concreto per fermare il delirio mainstream, prima che questo ci conduca a tragedia certa.
E scusatemi se non ho parlato a voi come a bambini della terza media. Mi dicono che sia ormai l’unico modo efficace di fare politica, come d’altra parte aveva sentenziato già a suo tempo Gustave le Bon. Perdonatemi, nessuno è perfetto.
Iniziamo allora a tratteggiare i contorni dello spazio politico che si è creato intorno a noi e proviamo a contarci. Forse siamo ancora in di più di quanti crediamo.
Si cita spesso la frase di Orwell che in tempi di inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario, magari se questa frase proviamo a pronunciarla tutti insieme, anziché gli uni contro gli altri, l’efficienza rivoluzionaria ne guadagna.
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