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Maccartismo 2.0, ma McCarthy è Mister Bean

Pubblicato su 30 Dicembre 2016 di Roberto Pubblicato in Roberto In Italiano .

di Roberto Quaglia – roberto.info

E’ ormai un concetto comune che la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa. E’ diventato un concetto comune proprio perché il fenomeno continua a verificarsi. Ma ogni volta, chissà perché, la farsa è sempre più farsesca.

Forse non tutti sanno che nei primi anni 50 del ventesimo secolo, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti furono sommersi da una ondata di paranoia anticomunista senza precedenti. Questo fenomeno è oggi noto come “maccartismo”.

Il termine “maccartismo” deriva dal nome del senatore Repubblicano del Wisconsin Joseph McCarthy, il quale conduceva le audizioni dei personaggi sospettati di simpatie comuniste ed antiamericane, interrogatori particolarmente umilianti che ad un certo punto furono pure trasmessi in tivù.

L’ambiente di Hollywood ne fu particolarmente colpito. Più di 330 fra attori, autori e registi finirono sulla lista nera, perdendo così la possibilità di lavorare. Charlie Chaplin fu una delle persone accusate di attività antiamericane, gli revocarono addirittura il visto d’ingresso negli Stati Uniti dopo una visita in Europa. E pure Walt Disney fu chiamato a testimoniare e fu sospettato di comunismo. Ma ve lo immaginate un Wald Disney colpevole di “attività antiamericane”? “Walt Disney l’antiamericano” è l’ossimoro del secolo! Furono indagati anche Orson Welles, il musicista Leonard Bernstein, il fisico dei quanti David Bohm, il padre del progetto Manhattan Oppenheimer, addirittura Albert Einstein, tutti potenziali comunisti ed antiamericani. Ci mancava che indagassero lo stesso presidente degli Stati Uniti. L’isteria durò parecchi anni, prima che si spegnesse. Eleanor Roosevelt, moglie del presidente americano ebbe a dire a proposito: «È stata una vera e propria ondata di fascismo, la più violenta e dannosa che questo Paese abbia mai avuto.»

Oggi il termine “maccartismo” ha una connotazione di accusa falsa e isterica, e d’attacco governativo alle minoranze politiche. Nessuno riesce oggi ad immaginarsi che un fenomeno tanto assurdo e delirante possa ripetersi. Nessuno riesce ad immaginarselo proprio mentre contemporaneamente il fenomeno si è ripresentato, con la russofobia isterica che in Occidente monta ogni giorno di più.

Julian Assange recentemente lo ha chiamato neo-maccartismo, io preferisco chiamarlo maccartismo 2.0, così da poterlo meglio distinguere dal maccartismo 3.0 che prima o poi ci toccherà.

Ciò che rende il maccartismo 2.0 particolarmente farsesco è che le stesse persone che lo fomentano sono probabilmente quelle che più di altri sostengono o sosterrebbero che un fenomeno assurdo come il maccartisno non potrebbe più verificarsi. Mica male, eh: fomentare un fenomeno mentre neghi che esso possa riaccadere. E magari anche in buona fede – il che, vorrei azzardare, è un’aggravante. Probabilmente, costoro capirebbero di trovarsi in una ondata di maccartismo solo se la campagna fosse ufficialmente inaugurata da qualcuno che si chiamasse anche lui McCarthy. Sono un po’ come quelli che ti mettono in guardia contro il fascismo, ma essi stessi sono in grado di riconoscere il fascismo solo se si ripresenta con gli stessi esatti costumi dell’epoca. Togli ai fascisti la divisa e sostituiscila con un doppiopetto e già questi intelligentoni non solo non capiscono più nulla, ma danno tutto il loro sostegno ai nuovi fascisti, che senza uniforme essi non sanno proprio riconoscere.

Se, come detto, nel Maccartismo 1.0 ci mancava solo che arrivassero ad accusare anche il Presidente degli Stati Uniti, nel Maccartismo 2.0 si è ovviato a questa mancanza. Come Hollywood ci insegna, i sequel devono esagerare negli effetti speciali per riuscire a stupire, e allora nel Maccartismo 2.0 si dipinge lo stesso neoeletto Presidente Trump come un burattino di Putin. Ma vi rendete conto?

Un altro aspetto umoristico di questo Maccartismo 2.0 è che i grandi imputati dai nuovi cacciatori di streghe, RT, cioè Russia Today e l’agenzia giornalista Sputnik, hanno nelle loro redazioni occidentali degli staff più o meno interamente occidentali. Chiunque abbia guardato RT avrà notato che si tratta di giornalisti di grande esperienza e capacità. Il famoso Larry King Show, uno dei più longevi talk show negli Stati Uniti, si è spostato dalla CNN a RT. Immaginare ora che tutti questi abili professionisti siano o spie russe oppure giornalisti venduti alla propaganda di Putin è non solo paranoico, ma pure del tutto stupido. Un giornalista televisivo di provata abilità e carisma se vuole non ha alcuna difficoltà a trovare felice collocazione nel giornalismo mainstream, dove peraltro non rischia il linciaggio delle cacce alle streghe. Piuttosto, è proprio dal mainstream che saltano fuori gli scandali. Come quando il giornalista tedesco Udo Ulfkotte, per anni editore nella Frankfurter Allgemeine Zeitung, in preda a pentimento ha fatto outing confessando in pubblico di essere stato a lungo foraggiato dalla CIA per promuovere una linea atlantista, e che molti suoi colleghi sono altrettanto compromessi e corrotti. Ulfkotte ha scritto anche un libro sul tema: Giornalisti venduti (“Gekaufte Journalisten“). Curioso come di fronte ad un caso provato di propaganda – abbiamo addirittura il reo confesso, cosa volete di più – nessuno in Occidente si dia all’isteria, o anche solo all’inquietudine, ma piuttosto a riguardo regni il silenzio più totale. L’espressione due pesi due misure qui è decisamente un diminutivo.

La caccia alle streghe del Maccartismo 2.0 ha subito un’accelerazione quando il Washington Post ha pubblicato un forte articolo nel quale ha accusato la “propaganda russa” di avere diffuso notizie false durante la campagna elettorale americana che avrebbero aiutato Trump a battere la Clinton. Accusare la Russia di essere in grado di modificare l’esito delle elezioni presidenziali americane è cosa ben ben tosta – nemmeno McCarthy a suo tempo aveva osato tanto. Il Washington Post rimanda anche a PropOrNot, un sito web registrato pochi mesi fa da americani che dicono di voler combattere la propaganda russa e che chissà perché vogliono rimanere anonimi. PropOrNot elenca anche una lista di 200 siti di propaganda russa che comprende praticamente tutti i siti alternativi di informazione americani. Dal che dobbiamo dedurne che chiunque non sia allineato al mainstream negli Stati Uniti è al servizio, consapevole o inconsapevole, dei russi, e questo per rivelazione di un gruppo anonimo senza credenziali a cui però il Washington Post riconosce invece ogni credito. Accipicchia! E poi saremmo noi i complottisti!

Quest’articolo orwelliano del Washington Post ha scatenato una tale tempesta di critiche, proteste, sfottò da parte del mondo dell’informazione indipendente, ed anche una minaccia di denuncia per diffamazione, che il Washington Post ha in seguito dovuto fare retromarcia e dichiarare in una nota che essi non possono garantire per la attendibilità del sito PropOrNot che essi avevano appena citato come attendibile. Insomma, si sono immediatamente squalificati da soli, e chiunque abbia occhi per vedere capirà subito da che parte si pubblicano le informazioni false.

“Fake news”, notizie false è l’espressione chiave, il nuovo mantra con cui in Occidente il mainstream cerca di squalificare l’informazione non allineata. La precedente parola magica, “complottista”, ha perso efficacia, la nuova parola d’ordina è “fake news” e che si tratti di una parola d’ordine è evidente dalla velocità con cui si è propagata per tutto il mainstream.

L’aspetto affascinante è che l’accusa di diffondere notizie false è esattamente quella che il mondo nuovo che si è creato attorno ai circuiti dell’informazione non allineata, cioè noi, da tempo rivolge al mainstream, anche se fino ad ora senza utilizzare un’etichetta univoca di grande impatto come l’espressione “fake news”. Di fronte alla montante marea di queste accuse il mainstream è giunto alla brillante idea di ribaltare le cose, rimandando l’accusa al mittente, ma con due sostanziali differenze: innanzitutto un’etichetta, un “brand” di grande efficacia comunicativa – “fake news” – ed in secondo luogo la totale assenza di argomentazioni a sostegno delle accuse. Il risultato comico è che i media indipendenti non ci hanno impiegato molto a ribaltare la frittata a loro volta ed adottare il “brand” creato per denigrarli – “fake news”, contro il mainstream stesso. Ma in questo caso con tutte le argomentazioni del caso a sostegno delle accuse. Di fronte a questo ennesimo pasticcio ed autogol il mainstream, in un articolo apparso sul New York Times, si è esibito in un capolavoro dell’assurdo, ovvero la falsificazione della stessa storia di come l’etichetta “fake news” è assunta a “brand” in questa guerra dell’informazione, sostenendo – falsamente – che sia avvenuto ad opera dei perfidi media indipendenti e dei conservatori americani. Un esemplare caso di “fake news” al quadrato, quindi.

Abbiamo quindi oggi due mondi contrapposti, ognuno dei quali sostiene che le notizie veicolate dall’altro sono false. Pari e patta? Stessa cosa a ruoli invertiti? Ma nemmeno per sogno. Quando i giornalisti non allineati smascherano le notizie false mainstream di solito lo fanno mettendo puntigliosamente sul piatto le prove delle falsificazioni. Ma lo stesso raramente accade in direzione contraria. Il maistream si limita a dichiarare falsa l’informazione non allineata in virtù di un dogma, per verità rivelata, per decreto imperiale, per proprio arbitrio incontestabile, in cui l’unico argomento a sostegno è la propria presunta autorità. Se non ci credete fate qualche ricerca voi stessi.

Se durante il Maccartismo 1.0 McCarthy aveva gioco facile, perché non essendoci ancora internet l’informazione non allineata era ben poca cosa, nel Maccartismo 2.0 i nuovi cacciatori di streghe non fanno in tempo a dire una cazzata che milioni di booohh-booohhh si levano in rete a ridicolizzarli – e scopriamo così che nel Maccartismo 2.0 McCarthy è in effetti Mister Bean.

Se ai tempi del Maccartismo 1.0 la gente aveva la scusa della mancanza di informazioni alternative rispetto a quelle del mainstream cacciatore di streghe, oggi questa scusa non c’è più, dato che esiste internet e ci sono circuiti di informazione indipendente. Questo fa si che per poter stare in piedi il Maccartismo 2.0 deve fare leva su livelli di stupidità senza precedenti, poiché per dargli retta oltre ad essere ciechi alle leggi della logica bisogna anche essere ciechi all’evidenza dei fatti stessi, visto che i fatti sono oggi a disposizione dell’analisi di chiunque voglia davvero informarsi.

E questo ci riporta a quanto io dico ormai da tempo, che l’Occidente è ormai irreversibilmente diviso in due veri e propri mondi separati, che anche se condividono gli stessi spazi vivono in realtà separate, e ognuno di questi due mondi considera l’altro una trappola di irrealtà. Il mondo rappresentato dal mainstream è in crisi di fede – e questo spiega l’isteria del mainstream nei confronti della montante marea di “eretici”, mentre il secondo mondo, il mondo di quelli che hanno perso fiducia nella narrativa mainstream, nei telegiornali, nella grande stampa, è in crisi di rappresentanza. Insomma, esistono, sono milioni di persone, hanno iniziato a pensare con la propria testa, diventano sempre di più, ma ancora non godono di una adeguata rappresentanza politica. E’ un aspetto interessante ed importante, del quale parleremo la prossima volta.

Roberto Quaglia
Dicembre 2016

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Tag: Giornalismo, Maccartismo, McCarthy, Propaganda, Udo Ulfkotte .
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