di Roberto Quaglia – roberto.info
Queste elezioni americane sono senza alcun dubbio state le più incredibili da parecchi decenni a questa parte. Quanto di ciò che abbiamo visto sia reale e quanto sia invece abile teatro lo scopriremo solo nel tempo. Le opzioni principali sono due: o le cose sono come sembrano, oppure sono come non sembrano.
Iniziamo con la prima opzione.
Trump ha vinto le elezioni americane contro tutti i pronostici, contro tutti i sondaggi, contro il coro di tutti i media occidentali compattamente schierati contro di lui, contro l’opinione univoca e compatta dei ceti “liberal” di cultura medio-alta.
Più che fare un’analisi politica di questo avvenimento, opera in cui al momento si sbizzarriscono tutti, è interessante soffermarsi su alcune considerazioni che attengono più alla sociologia, che alla politica.
Perché i giornalisti e gli intellettuali mainstream in questa faccenda si sono sbagliati tutti e completamente? Prima incapaci di capire che Trump si sarebbe aggiudicato la nomination repubblicana, poi incapaci di capire che avrebbe vinto. E già in precedenza incapaci di prevedere l’esito del Brexit. Sbagliarsi completamente una volta può essere un caso, ma due o tre volte di fila inizia a configurare una norma. Nel caso italiano poi si aggiunge l’incapacità di prevedere e capire ed infine di prendere atto dell’ascesa del fenomeno dei Cinque Stelle. In altre parole: il mainstream è stupido. Mi sovviene la famosa citazione “se tutti pensano allo stesso modo, allora qualcuno non sta pensando”.
E per colmo di beffa, ora quello stesso circo mediatico corrotto ed incapace che da qualche tempo le sbaglia tutte, ci vomita in salotto le inutilissime arrampicate sugli specchi degli opinionisti che non ne hanno azzeccata una, e che ora pretendono di spiegarci ciò che manifestamente non hanno capito ed evidentemente non sono proprio in grado di capire. Tutto ciò in attesa dei salti carpiati con doppio avvitamento dei giornalisti e politici italiani (Renzi in testa) che hanno sempre sfottuto quando non addirittura insultato Trump e che ora, da un giorno all’altro, con la stessa passione di prima inizieranno a coglierne le virtù nascoste fino a giungere a tesserne lodi sempre più sperticate. Non perdetevi lo spettacolo infame, destinato a trasformarsi in un culto trash. Il voltagabbanismo nell’epoca di internet è infatti un gioco con un prezzo da pagare, il prezzo del ridicolo, dato che i precedenti insulti non scompaiono dalla memoria della rete – nossignori, non li si può cancellare da Internet – ed una volta abilmente accostati alle successive leccate di culo possono dare vita a dei disgustosi quadretti che immortaleranno lo squallore dei vari personaggi per l’ilare e sacrosanto dileggio dei posteri.
Come già per il caso del Brexit, assistiamo ora ad un altro fenomeno eclatante: il rifiuto del risultato della votazione da parte dell’elettorato perdente. Questo, naturalmente, nel nome della democrazia. Nel caso del Brexit, si manifestò con petizioni che chiedevano di votare di nuovo ed elucubrazioni sul fatto che il voto potesse venire legalmente ignorato. Questo, naturalmente, nel nome della democrazia. Nel caso delle elezioni di Trump invece abbiamo gente che scende in piazza contro l’esito delle elezioni, senza tuttavia un argomento diverso da quello della propria insoddisfazione. Non si scende in piazza per qualcosa che Trump ha fatto o sta per fare – è troppo presto per questo, lui non è nemmeno ancora presidente. No, si scende in piazza perché semplicemente non si è d’accordo con l’esito del voto. Contemporaneamente, iniziano a udirsi voci intellettualoidi che si esprimono contro il suffragio universale. Tutto questo, naturalmente, nel nome della democrazia.
Dico ciò perché l’aspetto forse più interessante di queste elezioni è proprio l’aperto manifestarsi di questa visione cripto-totalitaria di una parte di popolazione erudita sinceramente convinta di incarnare la vera ed unica identità democratica possibile della società. Oltre al blocco compatto dei media e della “intellighentia” o presunta tale, si tratta dei ceti di istruzione medio-alta della società. Nel loro rifiuto di considerare legittimo il voto delle fasce di istruzione minore essi di fatto senza accorgersene hanno dichiarato una feroce lotta di classe che in sostanza si riassume nell’idea: la democrazia è vera democrazia solo quando vinciamo noi, che siamo persone più erudite e migliori. Quando vincono gli altri non vale, dato che sono ignoranti e sempliciotti, non vale a meno che il vincitore sia anche di nostro gradimento. Il rifiuto dell’esito del gioco è un comportamento tipico dei bambini. Nel caso del Brexit tutti ad urlare come i bambini “voglio la rivincita!” e coerentemente oggi tutti a strepitare “Non vale! Non vale”” senza però essere in grado di spiegare perché non dovrebbe valere. Un comportamento molto infantile. Anche l’argomento, spesso utilizzato in questi casi, che la gente ignorante sia stata convinta dai media a votare per l’impresentabile di turno non vale, dato che i media spingevano invece a votare la Clinton con una univocità che – questo sì – rappresentava la morte del pluralismo politico, fatto che curiosamente non ha preoccupato nessuno di tutti questi colti benpensanti. In effetti, il fatto straordinario è proprio che metà degli elettori abbia votato a dispetto del coro compatto dei media – in direzione contraria. Questo significa inequivocabilmente che più di metà della popolazione votante, per non parlare di quella non votante, non crede più a ciò che sente in televisione per quello che riguarda la politica, non crede più a quello che scrivono i giornali mainstream. I sacerdoti del ministero della verità stanno rapidamente perdendo il loro pubblico.
Fino ad ora non sono entrato nel merito dell’analisi politica, interessandomi di più il mistero del comportamento delle masse di persone. Qualcosa tuttavia si può dire anche sul piano dell’analisi politica.
Una delle letture più lucide è forse stata data dal grande giornalista John Pilger in una bellissima intervista a RT che invito tutti a guardare. Ben due volte premiato come giornalista dell’anno in Inghilterra, John Pilger non può certo essere tacciato di simpatie sospette. Eppure, Pilger mette il dito nella piaga: per quanto Trump possa essere impresentabile, la Clinton è già compromessa da una miriade di fatti inaccettabili e semplicemente non è un’opzione. Massima garante dello status quo criminal-finanziario di Wall Street e del complesso militar-industriale, già criminale di guerra corresponsabile della distruzione di Libia e Siria, corrotta dai sauditi a cui assicurava le armi destinate ai tagliagole dell’ISIS, come rivelato da Wikileaks, aveva già promesso che se eletta avrebbe fatto guerra all’Iran – e molto probabilmente avrebbe scatenato la terza guerra mondiale. Non c’è antipatia per il personaggio Trump che regga al confronto con la prospettiva di un cataclisma del genere. Colpisce la confusione mentale di quel blocco di società benpensante per il quale maschilismo, rozzezza e cattivo gusto pesano di più dei crimini di guerra e della promessa di nuove guerre e possibilmente di una guerra nucleare. Una confusione mentale tale che, messi di fronte alle rivelazioni di Wikileaks che inchiodano la Clinton ai suoi crimini, anziché prendere atto della realtà chiudono gli occhi e piuttosto accusano Wikileaks di avere rivelato il malaffare. Anche il Guardian si è spinto a dare la colpa ad Assange. Siamo quindi al delirio. Fra la criminale sobria ed il maleducato pacchiano i benpensanti preferiscono la criminale sobria. Fra una guerrafondaia dichiarata, però persona elegante, ed un riccone maschilista, per lo più buzzurro, i benpensanti preferiscono la guerrafondaia elegante. Per quanto sia assurdo i benpensanti preferiscono, in America come in Italia ed in Europa, una guerra nucleare quasi certa piuttosto che il trionfo del cattivo gusto. Come si spiega questa follia? La risposta è semplice e banale: la gente capisce facilmente i problemi piccoli, ma non è assolutamente in grado di fronteggiare i problemi grossi. Cattivo gusto, razzismo ed esternazioni maschiliste sono le piccole cose che incontriamo nella nostra vita di tutti i giorni e per le quali abbiamo criteri di comprensione ed un codice di comportamento. Una guerra nucleare è invece un problema troppo grosso perché la nostra mente sappia occuparsene e quindi la nostra mente lo nega in blocco, rifiuta di vederlo, lo confina nell’ambito delle prospettive astratte che non ci possono davvero riguardare. In parole povere, la tattica dello struzzo che ficca la testa sotto terra per non vedere, la tattica dei bambini che chiudono gli occhi davanti a ciò che li spaventa convinti che questo basti a farlo sparire dalla realtà, oltre che dalla loro vista. I benpensanti hanno paura del parrucchino di Trump perché capiscono cosa voglia dire un parrucchino, ma non hanno paura della guerra, forse nucleare, promessa dalla Clinton perché non capiscono cosa voglia dire una guerra, soprattutto nucleare.
Naturalmente, è interamente possibile che anche Trump conduca il mondo alla catastrofe. Ciò non toglie che che con la Clinton questa sarebbe stata una certezza. E quando devi scegliere fra un disastro possibile ed un disastro garantito, il disastro garantito non è affatto la scelta migliore. Ubi maior minor cessat.
Adesso che abbiamo ragionato sulla premessa che le cose sono come sembrano, spendiamo due parole anche sull’ipotesi che le cose siano come non sembrano. Mi perdonerete la sospettosità, ma dall’11 settembre in poi ho sviluppato un certo scetticismo rispetto a qualsiasi teatrino venga rappresentato davanti a me. Ogni volta che cado in tentazione e credo alla realtà di uno scenario, prima o poi saltano fuori elementi che mi convincono di essere stato fregato per l’ennesima volta – stavo assistendo ad un teatrino e non me ne ero accorto perché la sceneggiatura era stata scritta troppo bene. E, come sappiamo, in politica i teatrini sono di solito la norma, non l’eccezione. Quanta gente a suo tempo cadde nel tranello del teatrino del mito di Obama il Buono, che nell’immaginario popolare, costruito ad arte, avrebbe portato la pace in terra? In seguito Obama avrebbe bombardato sette paesi. Oggi ci viene presentata una narrativa del tutto diversa, ma quanto di tutto ciò è reale?
Ci sono almeno tre elementi che stonano nel quadro che ci viene presentato. L’indagine ad orologeria dell’FBI su Hillary Clinton ed il timing delle rivelazioni di Wikileaks sono le prime due stonature. Wikileaks non è propriamente ciò che in molti credono, in realtà è parte del sistema, tanto è vero che fa sempre bella figura sulle prime pagine dei giornali – i veri oppositori del sistema sono ignorati dai media. E non solo Assange rispetto ai misteri dell’11 settembre non ha mai spifferato nulla, ma addirittura ha difeso l’indifendibile versione ufficiale. Non mi stupirei se Trump finisse per dargli la grazia, a cui seguirebbe il Nobel. E la terza stonatura, per quanto possa sembrare strano è costituita dai mancati brogli elettorali a favore della Clinton, brogli che in molti si aspettavano dato che si erano verificati in elezioni precedenti e che stavolta non sono avvenuti. Oppure che ci sono stati, ma a favore di Trump. La grande discrepanza fra gli exit poll ed il voto a favore di Trump in stati chiave suggerisce infatti che anche stavolta ci siano stati dei brogli, però a favore di Trump.
E bisogna essere incredibilmente ingenui a credere che le macchine elettroniche per il voto negli Stati Uniti, una vera e propria black box dal software segreto e di proprietà dei soliti sospetti, i cui risultati sono inverificabili, con le quali già in passato si sono truccate elezioni, proprio stavolta siano state usate senza imbrogliare.
C’mon, do you really believe that?
Se quindi ci vengono presentati tutti i soldatini del potere visibile schierati compatti per la Clinton, si intravvedono però in trasparenza i grandi alfieri del potere nascosto operare in appoggio a Trump.
E’ un’epoca di crescente ribellione contro i cosiddetti Padroni dell’Universo, ovvero i poteri forti, fortissimi, che tirano le fila dei burattini politici – e dopo questa elezione a sorpresa essi ci vengono presentati come sconfitti, disperati, messi all’angolo dalla vittoria di Trump. Ma lo sono davvero? Oppure fa tutto parte di uno spettacolo dai fini misteriosi? Come Obama fu il contentino per i benpensanti, è oggi forse Trump il contentino per i malpensanti? Obama l’anti-Bush seguito da Trump l’anti-Obama, lo stesso schema a ruoli invertiti, uno schema good cop – bad cop per tutta l’umanità?
L’attacco dell’FBI alla Clinton rivela uno schierarsi evidente dello deep state – lo stato profondo statunitense. Ma è lo stato profondo che si ribella ai Padroni dell’Universo costringendoli a cambiare strategia oppure sono sempre i Padroni dell’Universo quelli che conducono il gioco tirando abilmente le fila anche dell’FBI e di altre agenzie?
Le rivelazioni di Steve Pieczenik, un insider di alto livello e di lungo corso del potere americano (leggetevi la sua interessante biografia su Wikipedia, è stato anche fortemente coinvolto nel caso Moro), parrebbero suggerire che la ribellione del deep state sia sincera e patriotica. Ma come facciamo ad esserne certi?
Ed anche l’immagine delle proteste spontanee di strada contro la elezione di Trump inizia a vacillare quando scopriamo che ci sono annunci per reclutare gente che protesti a 1500 dollari la settimana. Si stanno creando le basi per una guerra civile in America? Che magari possa servire ad imporre una legge marziale? Oppure l’obiettivo principale è di restituire importanza alla narrativa della dialettica democratica, esasperando i contrasti apparenti fra ogni presidente in carica ed il suo successore, al fine di corroborare il mito di una democratica alternanza politica?
Altro che House of Cards, la puzza qui è piuttosto quella del Truman Show, però facciamo attenzione, qui siamo nel campo della speculazione, ipotizzare è doveroso, ma balzare a conclusioni certe è prematuro. La situazione è troppo complessa e con troppe incognite per nutrire certezze. Non sappiamo fino a che punto si sia evoluta l’arte di manipolarci e di prenderci in giro, ma dobbiamo considerare seriamente la possibilità che abbia trasceso la nostra capacità di immaginarlo. L’unica cosa certa è che il tempo ce lo dirà – forse. E fino ad allora, teniamo acceso il cervello, sospendiamo il giudizio e, poiché siamo comunque relegati al ruolo di spettatori, cerchiamo di goderci lo spettacolo.
Trump ha vinto il 9 novembre, 11/9 ovvero il 9/11 al contrario, l’11 settembre al contrario. Nell’anniversario in cui 27 anni fa venne abbattuto il muro di Berlino. I numerologi e gli analisti dei simboli ci andranno a nozze.
In conclusione, torniamo a limitarci a guardare agli eventi per come ci appaiono. Al di là delle sceneggiate elettorali e delle trame dietro le quinte rimane il dato straordinario di un voto di massa controcorrente. Chiediamoci ancora una volta come mai così tante persone hanno potuto votare per Trump, contro il politicamente corretto, contro il coro compatto di tutti i media. Grillo ha dichiarato che si è trattato del più grosso vaffa-day della storia, ma meglio di lui si è espresso un mio amico americano, un sociologo, riportando sul suo facebook il seguente piccolo test che vi invito tutti a seguire e – se tenevate per Clinton – a dare la vostra risposta:
Quando tutti i non-razzisti, non-misogini, non-omofobi, non-bigotti normali comuni cittadini ne hanno talmente abbastanza che voi li chiamiate razzisti, misogini, omofobi e bigotti da decidere di votare contro il vostro candidato – voi cosa fate?
Opzione A: Rivedete la vostra condotta personale e la strategia per convincere la gente a condividere la vostra politica.
Opzione B: Li chiamate razzisti, misogini, omofobi e bigotti più che mai urlando contro di loro ancora più forte.
A giudicare dai post che leggo su facebook, la maggioranza di voi ha scelto l’Opzione B.
Ed è soprattutto per questo che il vostro candidato ha perso.
Roberto Quaglia
20 Novembre 2016
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