di Roberto Quaglia
Chiunque minimamente si interessi ai cosiddetti fatti del mondo sa che al di là dei caleidoscopi di ciance rispetto a faccende minime l’unico interrogativo che davvero importa è: il futuro del mondo sarà unipolare oppure multipolare?
Per intenderci: il mondo unipolare è un mondo dominato da un solo polo politico, mentre un mondo multipolare è un mondo nel quale coesistono diversi importanti poli di potere. Gli Stati Uniti hanno lungamente manifestato il proposito di consolidare indefinitamente il loro momento unipolare scaturito dal crollo dell’Unione Sovietica. Ricordiamo a tal proposito un famoso discorso di George Bush pronunciato l’11 settembre 1991, cioè esattamente 10 anni prima di quell’altro più famoso 11 settembre, nel quale annunciava solennemente l’avvento di un nuovo ordine globale, a guida statunitense. E ricordiamo inoltre l’altrettanto famoso documento di dieci anni dopo, ad opera dei neocons statunitensi “Project For a new American Century” – il cui titolo è già tutto un programma. Quello di un governo mondiale americanocentrico è un tema caro anche alla letteratura di fantascienza statunitense degli anni 50 – ricordo in particolare Isaac Asimov sostenere che o il mondo si sarebbe dato un governo mondiale oppure l’umanità si sarebbe estinta in una guerra nucleare. Aleggiava in questa letteratura spesso e volentieri l’ingenua verità assiomatica che tale futuro governo mondiale avrebbe comunque riflesso i caratteri fondamentali della società e dei valori americani.
Questi ingenui sogni si sono poi definitivamente infranti alla prova dei fatti, ovvero quando, dopo l’improvviso crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti si sono ritrovati nel ruolo di unica superpotenza mondiale, l’alba del momento unipolare statunitense. Il politologo americano Francis Fukuyama a quel punto profetizzò la fine della storia, con la pax americana non ci sarebbero state più guerre, e l’intellighentia occidentale, accecata dall’ideologia, lo celebrò. Ebbene, indovinate un po’, la storia non finì. L’intellighentia occidentale continua ancor oggi a celebrare Fukuyama – misteri della cecità ideologica – ma la storia, guarda un po’ come è indisciplinata, non ne ha voluto proprio saperne, di finire.
La storia, dopo un momento di apparente congelamento, un po’ come quando Wilkojote sconfina oltre l’orlo della rupe e rimane magicamente sospeso per aria qualche istante, fino a quando non si accorge che sotto di sé non c’è nulla e allora precipita, dopo un momento di apparente congelamento la storia precipitò, gli eventi accelerarono. Gli Stati Uniti si affrettarono a bombardare nazioni a destra e a manca e a minacciare chiunque nel mondo osasse obiettare a qualsiasi dei propri ordini imperiosi. Ci rimasero male in molti. Ci rimasero male gli idealisti, che condividevano il sogno per così dire asimoviano di un futuro governo mondiale giusto e democratico, ma ci rimasero male anche intere nazioni, come la Russia, che dopo avere abbandonato il modello sovietico ed avere sposato quello occidentale per qualche anno si era davvero illusa di essere stata accolta a braccia aperte nella comunità occidentale. E allora il mondo dovette imparare la dura lezione che non esiste un potere buono in quanto tale, e che chiunque disponesse del monopolio della violenza finirebbe per abusarne e trasformarsi in un oppressore globale e allora il mondo inziò a produrre anticorpi e rapidamente prese a reagire al dilagante momento unipolare statunitense. Le più grandi nazioni, come la Cina e la Russia, compresero che dovevano mettersi nelle condizioni di poter fronteggiare alla pari il potere statunitense, oppure nel tempo sarebbero state impietosamente distrutte. E questo ci porta al momento contemporaneo, il periodo di transizione dal momento unipolare statunitense ad un mondo multipolare. La transizione è in atto, e procede rapidamente, anche se non viene enunciata a chiare lettere nei telegiornali occidentali. Su piattaforme alternative d’informazione il tema è già stato discusso in mille salse, focalizzandosi di volta in volta sugli aspetti militari, economici, finanziari, monetari di questa transizione. Io ho scritto un libro a riguardo, focalizzato sul problema della sostanziale unipolarità che tutt’ora persiste nel campo della informazione e della produzione cinematografica ed audiovisiva – Il Fondamentalismo Hollywoodista. Oggi però vorrei concentrare l’attenzione su un aspetto raramente considerato – unipolarità e multipolarità nel campo della letteratura e cinematografia di fantascienza. La fantascienza è quell’area dell’immaginario dove prefigurando il futuro si contribuisce a crearlo, e consumando fantascienza ci si prepara ad un futuro che sempre più spesso è già in parte un presente. In un’epoca di progressi tecnologici troppo rapidi per riuscire a tenere conto di tutte le novità, il futuro ormai ci colpisce tutti i giorni, a volte ci meraviglia, altre volte ci confonde, altre volte ancora si presenta così alieno ed assurdo che molti di noi giungono a negarne l’evidenza – e allora la pace sociale facilmente si incrina, mentre le persone finiscono a litigare su cosa sia reale e cosa sia invece immaginario.
Ma chi è che produce la fantascienza?
Per la maggior parte delle persone che la fantascienza la guardano nei film, la nozione prevalente è che la fantascienza sia una faccenda tutta americana. Merito degli effetti speciali visivi, campo nel quale gli americani sono ormai maestri indiscussi, ma soprattutto dell’opera di egemonizzazione del mercato dell’intrattenimento audiovisivo che essi hanno realizzato nel corso dei decenni. In questo ambito ci troviamo ancora in un mondo unipolare. I nostri sogni fantascientifici cinematografici vengono quindi in massima parte escogitati a Hollywood – sogniamo ad occhi aperti i futuri che gli americani decidono che noi di debba sognare.
In letteratura il discorso è diverso, anche se i sintomi si assomigliano. Da almeno settant’anni a questa parte, il grosso della produzione di fantascienza rilevante nel mondo è stata anglo-americana, ma qui non si tratta di un processo di deliberata egemonizzazione del campo. L’egemonia è giunta nel tempo e per un concorso di cause, molto varie, la decisiva delle quali, almeno da un certo momento in poi, è stata il vantaggio competitivo della narrativa scritta in inglese, lingua franca in gran parte del mondo, e quindi più facile da tradurre. Ci sarebbe da parlare per ore su questo tema, ma non intendo tediarvi. Basti dire che nel tempo questa egemonia, sorta spontaneamente ed inizialmente per ragioni di merito, si è in seguito sistematizzata e radicalizzata così che da un certo momento in poi anche il mercato della fantascienza letteraria, in tutto mondo, è arrivato ad offrire praticamente solo opere di autori anglosassoni.
Se una tale egemonia nel mondo del cinema è relativamente comprensibile – per fare un film ci vogliono mezzi importanti, cui quasi nessuno ha accesso, una tale egemonia in campo letterario è un problema più affascinante – chiunque sia brillante abbastanza può scrivere un libro. Poi, naturalmente, i problemi nascono quando tal libro debba venire pubblicato, distribuito ed eventualmente anche tradotto. Il succo è che per settant’anni, tranne quale piccola o trascurabile eccezione, come ad esempio i capolavori del grande Stanislav Lem, a nessuno nel mondo è interessato tradurre opere di fantascienza che non fossero di autori anglosassoni. Lasciando da parte le considerazioni di mercato, ha sempre regnato ovunque una mancanza di interesse, anche a livello di pubblico, nello scoprire quali altri punti di vista sul futuro esistessero nel mondo a parte quelli anglosassoni. Basti pensare che in molti paesi i pochi scrittori locali di fantascienza potevano pubblicare solo nascondendosi dietro pseudonimi americani.
Ebbene, il motivo per cui sto parlando di questo tema è che qualcosa ultimamente ha iniziato a cambiare a questo riguardo. Qualche anno fa scrissi un pezzo intitolato: “ Nessun mondo multipolare se i media sono unipolari “ ed in seguito feci anche un video con lo stesso tema. L’argomento interessò ed il pezzo fu tradotto in 7 lingue. In esso spiegavo che a fronte di una realtà dei fatti di un mondo dove il momento unipolare statunitense è al tramonto e rapidamente si stanno iniziando ad affermare i caratteri di un nuovo mondo multipolare, il campo dell’informazione e dell’intrattenimento continuano tuttavia a palesare l’egemonia unipolare statunitense – la quale cosa è in dissonanza con il cambio di tendenza osservato su campo più ampio.
Ma ora ecco che proprio nel campo intellettuale che per definizione attiene al nostro futuro più di ogni altro, quello della fantascienza, hanno iniziato a palesarsi delle novità.
Qualche tempo fa ho partecipato al convegno mondiale di fantascienza, la Worldcon, che quest’anno si è svolto in Irlanda, a Dublino.
Il convegno mondiale di fantascienza è una cosa grossa, vengono migliaia di appassionati di fantascienza da tutto il mondo e praticamente tutti i professionisti del campo. Ebbene, la grande novità di questi ultimi anni è l’irruzione della fantascienza cinese nel campo. E – attenzione: non si prospetta come un fenomeno passeggero. La fantascienza cinese viene infatti oggi sostenuta dallo stato cinese stesso. Ovvero la Cina ha evidentemente deciso la fantascienza è in una qualche misura un asset strategico. Qualche animo semplice sorriderà con sufficienza di fronte ad una notizia del genere, riducendola al rango di semplice curiosità, ma a chiunque sia invece un attimino più sveglio non sfuggiranno le profonde implicazioni di una decisione del genere.
La Cina ha deciso che è importante, forse addirittura cruciale, sviluppare un proprio immaginario circa il futuro del mondo, anziché farsi dettare tale immaginario in esclusiva dall’egemone anglosassone. Attenzione: in tutto ciò non vi è nulla di ostile verso la fantascienza anglosassone. I massimi autori anglosassoni vengono anzi onorati, invitati sempre più spesso in Cina, tradotti e pubblicati ben più di prima. Ma la novità è che i cinesi non si interessano ai soli autori anglosassoni, come era usanza comune in tutto il mondo ancora sino a ieri. I cinesi guardano con pronunciato interesse anche agli autori di madrelingua non inglese. Vogliono un’ampia gamma di punti di vista. E soprattutto coltivano le proprie nuove generazioni di autori cinesi di fantascienza e si adoperano per farli conoscere in giro per il mondo. In altre parole, i cinesi stanno introducendo un marcato indirizzo multipolare ad un ambito culturale con forte impatto sulla realtà, un ambito che sino ad ieri era sempre stato ostaggio di uno status quo unipolare. Ed era esattamente ciò che mancava in un mondo che per tutta un’altra serie di aspetti si stava già muovendo a passi decisi nella direzione nella multipolarità.
In Italia il primo a cogliere il cambio di paradigma in questo campo è lo scrittore ed editore di fantascienza Francesco Verso. Con il suo progetto editoriale Future Fiction ha pubblicato già diverse antologie di fantascienza cinese, ha presentato numerosi scrittori cinesi nel nostro paese ed è egli stesso regolarmente ospite in Cina a conferenze. Ha da poco pubblicato in Italia anche un’antologia di fantascienza indiana. Particolarmente interessante è la scelta di Verso di pubblicare la narrativa in edizioni bilingue, ovvero la traduzione italiana unitamente al testo nella lingua originale. A prima vista parrebbe una scelta commercialmente suicida, invece le sue edizioni vanno a ruba, segno che vi è una emergente fascia di pubblico interessata ad un approccio elevato e filologico alla fantascienza. Verso è interessato a sostenere quella che egli chiama “biodiversità narrativa”. Mi piace molto quest’espressione, però preferisco sottolineare la valenza multipolare di questo approccio. È la mutante percezione dell’orientamento geopolitico del mondo, da unipolare a multipolare, che improvvisamente rende la “biodiversità narrativa” interessante per un numero crescente di persone nel mondo. Si sta proprio evolvendo lo Zeitgeit a questo riguardo.
A chi stesse già pensando che comunque i libri ormai non li legge più nessuno e che non contano nulla nelle questioni del mondo, devo ribattere con un argomento che essi siano in grado di capire: la stessa cosa sta iniziando ad accadere anche coi film.
The Wandering Earth è un recente film cinese di fantascienza. Trascurando la plausibilità scientifica del film (i film di fantascienza lasciano spesso a desiderare a riguardo, e questo non fa eccezione), da un punto di vista tecnico The Wandering Earth è ai livelli di Hollywood. Effetti speciali come si deve, ritmi serrati, ottima recitazione degli attori — insomma pieno rispetto di quella “grammatica” cinematografica necessaria per il grande pubblico occidentale. Ma la trama ha tutt’altro sapore. I personaggi sono quasi tutti cinesi. Gli americani non compaiono, mai. Ci viene suggerito che esistano, ma sono del tutto irrilevanti. L’apparizione fugace della loro bandiera, ad un punto del film, paradossalmente ne sottolinea l’assenza, cioè l’irrilevanza. C’è anche un personaggio biondo, mezzo cinese e mezzo anglosassone, ed è il “cretino” della situazione, un personaggio macchietta. La trama del film narra del solito problema di salvare la terra, ma alla fine non è un singolo eroe a salvarla, come nei film americani, invece tutti insieme i personaggi collaborano per la salvezza. Inoltre, la soluzione consisterà nel girare attorno al problema, che è evidentemente un approccio cinese, senza un nemico da dover sconfiggere, tipica invece della mentalità americana e hollywoodista.
The Wandering Earth è stato un grande successo commerciale in Cina ed ha ottenuto ottimi apprezzamenti anche dalla critica occidentale. Quello che qui a noi importa è notare come la Cina paia avere imparato ad usare le forme e la grammatica della cinematografia americana per veicolare globalmente le proprie visioni e valori, e che faccia questo intenzionalmente, così come intenzionalmente lo fanno gli americani. È pur vero che una rondine non fa primavera, ma se il buon giorno si vede dal mattino, può darsi che anche nella forma d’arte più popolare al mondo, il cinema, stiamo forse assistendo ai primi timidi, timidissimi segni di una transizione da unipolarismo a multipolarismo. Di certo c’è solo che io ho dovuto aggiungere un nuovo capitolo al mio libro Il Fondamentalismo Hollywoodista, dove ho analizzato anche questo nuovo aspetto con profondità maggiore di quella possibile qui in video. Chi fosse interessato ai dettagli può trovare il libro già aggiornato su Amazon.it.
Il convegno mondiale di fantascienza a cui ho preso parte a Dublino gravitava soprattutto sull’aspetto letterario della fantascienza – quello che peraltro interessa di più a me. E a fronte di una fantascienza occidentale in progressiva decadenza, almeno secondo il mio umilissimo parere, una fantascienza occidentale sempre più ossessionata dalle mode e i vincoli del politicamente corretto a scapito della libertà, qualità ed originalità delle idee, la promessa di una emergente fantascienza orientale è stato l’elemento più intrigante che ho trovato nel convegno di quest’anno. E come ciliegina sulla torta, i cinesi si sono ora anche candidati ad ospitare in Cina il convegno mondiale di fantascienza del 2023. Se riescono a farselo assegnare, sarà la prima volta. Ma nel caso potrete scommetterci che non sarà affatto l’ultima.
Roberto Quaglia
12 Novembre 2019
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