(Questo saggio fu incluso nel Souvenir Book ufficiale della 53sima World Science Fiction Convention (WorldCon) che si svolse nel 1995 a Glasgow, prima e, a tutt’oggi, ultima volta che quest’onore è spettato a un autore italiano)
Ciò che mi ha sempre sorpreso, nella stragrande maggioranza di libri di science fiction che ho letto, è la presunta assenza della science fiction dal futuro dell’umanità. Tutti gli scrittori di science fiction esistenti o esistiti hanno raccontato miriadi di storie accadute in migliaia di futuri diversi dal presente a noi noto, ed in nessuno di questi futuri, curiosamente, esiste visibilmente ciò che tali futuri causa, ovvero la science fiction. E’ nota qualche eccezione a quanto io sto dicendo. Talvolta fa la sua timida comparsa quale personaggio, in rare storie di SF, uno scrittore di SF, il quale è però spesso null’altro che un’elementare proiezione dell’autore, un’autocitazione, simile alle comparse di Hitchkock nei propri film. Più spesso, il futuro che gli scrittori tratteggiano è un futuro privo di SF. Perché? Perché tutti gli scrittori di SF paiono dimenticarsi di includere l’esistenza della letteratura di SF nei futuri dei quali ci narrano? Forse evitano apposta di parlarne perché credono che la SF non sarà in futuro poi così diversa da come è nel presente? Commettono davvero questo ingenuo errore? Oppure non ne parlano perché non sanno cosa dire? O invece non è mai addirittura neppure loro venuto in mente che sia ragionevole pensare che in futuro la SF esisterà? Tutti questi scrittori di SF parlano invece volentieri del passato della SF, ci raccontano in continuazione tutta la storia della SF. Perché così tanta attenzione al passato, e così poca al futuro? Perché gli scrittori di SF, quando parlano di SF, ne parlano al passato anziché al futuro?
Qui c’è qualcosa di profondamente incongruente, mi sono detto. Conoscere la storia passata della SF è utile ed importante, ma solo per quindi cercare di immaginarsi il futuro della SF. Fare science fiction è intuire il futuro, assai di più di quanto sia raccontare il passato. Cerchiamo allora di intuire la SF del futuro, senza per questo dimenticarne il passato. Facciamo quindi un salto nel passato, ripromettendoci però di spiccare poi il volo verso il futuro.
Come è risaputo, la science fiction nacque nella seconda metà del milleottocento. Prima di allora, mai alcun essere umano aveva scritto una storia ambientata in un futuro che fosse diverso dal presente in virtù dei cambiamenti che il procedere dello sviluppo tecnologico avrebbe causato. Perché la science fiction nacque solo poco più di un secolo fa? Perché essa nacque proprio quando nacque?
Con la rivoluzione industriale il secolo XIX vide il progresso della tecnologia umana accelerare bruscamente. Erano migliaia di anni che l’umanità, a piccoli passi, faceva in realtà passi da gigante nello sviluppo di tecnologie che migliorassero il proprio adattamento al mondo. Quelli che pure, su scala evolutiva, erano passi da gigante, avvenivano infatti, su scala psicologica, a piccoli passi, così che il fenomeno non fosse direttamente percepibile da alcun individuo. Nell’arco di una generazione era assai improbabile che si verificasse più di un singolo passo di rilevante evoluzione tecnologica. Una improvvisa invenzione o scoperta poteva sì cambiare significativamente la vita degli individui, ma l’evento veniva vissuto come un’eccezione alla regola della immutabilità delle regole, o come un singolo miracolo che subito veniva assorbito come la nuova e definitiva normalità. Ai più eruditi la storia insegnava che il passato era ricco di invenzioni, ma anch’essi non osavano pensare ad un futuro sostanzialmente differente dal presente, poiché il presente mutava troppo lentamente perché ci si potesse rendere conto che mutava e soprattutto che avrebbe continuato a mutare.
L’accelerazione dello sviluppo tecnologico causò trasformazioni talmente frequenti nella vita delle persone, da non rendere più inammissibile il concetto che lo sviluppo tecnologico avrebbe potuto in futuro trasformare ulteriormente la vita delle persone.
La fantascienza nasce quindi come prodotto del mutare del concetto di futuro in seno alla coscienza umana. Vediamo di approfondire questo argomento. Perché il futuro della società umana sarà diverso rispetto al presente? La risposta che abbiamo già dato è: a causa dei progressi della tecnologia, che trasformano e trasformeranno i contesti nei quali viviamo e quindi il nostro futuro. E’ però questa la sola e vera risposta? In realtà, questa è una risposta sì vera, ma incompleta e superficiale. Ad un’osservazione appena più attenta appare ovvio e lampante che il fulcro del cambiamento non è tanto la tecnologia, un prodotto dell’Uomo, quanto piuttosto L’Uomo in sé, o meglio, lo psichismo dell’Uomo, la mente dell’Uomo, il pensiero dell’Uomo, la Weltanschauung dell’Uomo, il punto di vista dell’Uomo, il comportamento dell’Uomo.
Il perno del cambiamento dell’Uomo è l’Uomo, non la tecnologia da esso evoluta. L’aumento della tecnologia è un sintomo, è un effetto, non è una causa. La causa è la vertiginosa evoluzione della mente umana. Oggi sappiamo che la mente umana è in vertiginosa evoluzione. Ma… lo sappiamo? Io lo so. Sempre più persone lo sanno. Ai tempi dell’invenzione della science fiction, nessuno lo sapeva. Non sapevano della mente la minima parte di ciò che sappiamo oggi. Freud stava inventando l’inconscio, e nessuno gli credeva. Oggi, nessuno crede più al modello della mente di Freud, perché modelli migliori sono stati pensati. Ci crede ancora proprio il genere di persone che non ci avrebbe creduto quando Freud lo sviluppò. Disse, nel diciannovesimo secolo, Thomas Huxley: “Il destino normale delle nuove idee è di cominciare come eresie e di finire come superstizioni”. Una nuova idea non è compresa da nessuno, o lo è da pochi, e nessuno è disposto a crederla. E’ quindi un’eresia. Poi alcuni brillanti giovani iniziano a capirla. Negli anni, gli anziani increduli muoiono progressivamente tutti, ed avanzano solo quelli per i quali l’idea o è ovvia o non è niente. Successivamente, quelli per i quali l’idea non è niente imparano a credere vera l’idea – poiché non è rimasta nessuna figura autorevole a sostenere che si tratti di un’eresia, mentre tutte le nuove figure autorevoli sostengono che essa sia vera – senza però capirla. Dall’eresia alla superstizione attraverso il fugace lampo della comprensione. Così procede la cultura.
Quando la SF nacque, era un’eresia. Pochissimi la capivano per ciò che essa era, ed infatti pochissimi la scrivevano. Se più gente avesse capito ciò che la SF realmente fosse, più gente l’avrebbe scritta. Quindi, probabilmente, la SF veniva letta per ciò che non era, o che era solo parzialmente.
Oggi ci sono migliaia di scrittori di SF, e milioni di lettori. Per tutti costoro la SF non è più un’eresia. La SF rimane tuttavia un’eresia culturale per chiunque non se ne sia mai occupato. Eppure, anche la maggior parte di coloro che oggi leggono e scrivono SF, secondo me, non capiscono interamente cosa la SF attualmente sia, bensì generalmente ancora credono che sia ciò che fu.
Per quanto la SF, come sostiene Orson Scott Card, sia l’unica vera rivoluzione letteraria del ventesimo secolo, tuttora in atto, essa non ha mai trasceso se stessa, diventando qualcos’altro, come nel diciannovesimo secolo essa trascese la letteratura di viaggi fantastici, divenendo SF. Pur rimanendo se stessa, senza trascendersi, la SF si è però costantemente arricchita, gonfiata dalle crescenti nozioni che la mente umana ha progressivamente prodotto. Si è arricchita, senza tuttavia trascendere l’intuizione iniziale che ne decretò la nascita, ovvero l’intuizione che lo sviluppo tecnologico avrebbe reso differente il futuro nostro e dei nostri discendenti.
Ebbene, secondo me si sta rapidamente avvicinando il momento nel quale la SF trascenderà l’identità fornitale da tale intuizione iniziale per divenire qualcosa di nuovo e di evoluzionisticamente superiore, qualcosa che inizialmente apparirà a tutti come un’eresia, perché così è sempre stato nella storia, così che questo “qualcosa” sarà probabilmente quasi invisibile nella sempre più oceanica produzione mondiale di SF. Ma questo “qualcosa”, tempo forse una generazione o due, diverrà il nuovo laboratorio di pensiero delle menti più raffinate dell’umanità, come la SF è per molti versi stata per tutto il ventesimo secolo. Perché giungo a questa convinzione? Vediamo di spiegarlo.
Il fulcro dell’evoluzione umana, tengo a ripeterlo, è la mente umana, non la tecnologia. E’ la mente umana che crea la tecnologia. E’ la mente umana che usa la tecnologia per accrescere se stessa. Tale cosa non è ben chiara alla maggior parte degli scrittori di SF, i quali infatti insistono sul fatto che una buona letteratura di SF deve essere rigorosamente plausibile dal punto di vista scientifico. Non è esatto, ribatto io. Questa è una visione antica della SF, antecedente alla miriade di recenti nozioni che hanno reso obsoleto o comunque naiv questo punto di vista. Una buona letteratura di SF, secondo me, deve essere rigorosamente plausibile da un punto di vista mentale. La congruenza scientifica è importante, ma va gerarchicamente subordinata a questo nuovo criterio.
Mettiamola in un altro modo: siamo una banda di banalissimi extraterrestri umanoidi che scende sulla terra deserta per vedere chi mai ci ha abitato. Troviamo i resti di una civiltà umanoide come noi, e ci chiediamo quale fosse la loro cultura, ovvero a qual punto fosse giunta la loro comprensione delle cose. I reperti più significativi sarebbero i documenti scritti. Leggiamo gli scritti più antichi, la Bibbia e quelle cose lì, e ne concludiamo che quei tipi dovevano essere matti o comunque fuori di testa. Scritti più recenti ci rivelano il rapido progresso delle conoscenze umane, fino a giungere alla SF. La letteratura di SF è il segno archeologico che ci svela che l’umanità si era accorta del progresso della tecnologia, nulla di più. Nulla di più!
Ma noi adesso sappiamo che è la mente umana che si evolve con rapidità sconcertante, e che tutto il resto è solo una conseguenza. Quale sarà allora il prossimo reperto archeologico?
Un momento! Io continuo a ripetere che sia la mente umana ad evolversi. Qualcuno potrebbe tuttavia non essere ancora d’accordo con me su questo punto. Sarà quindi meglio che io mi dilunghi un attimino su tale argomento.
Io sostengo allora che sia stata l’evoluzione della mente dell’uomo a causare le sconvolgenti trasformazioni che hanno trasfigurato la vita della nostra specie nelle ultime migliaia d’anni, e continuano oggi a trasfigurarla, anno dopo anno, sempre più velocemente. Non lo sostengo io soltanto.
E’ stata divulgata negli anni settanta un’affascinante teoria sull’evoluzione dello psichismo nell’Uomo. Ne è autore il neurologo americano Julian Jaynes. Secondo Jaynes, la coscienza umana (nella sua accezione moderna di “spazio mentale metaforico” nel quale ognuno di noi narratizza gli eventi, dando così significato al Tempo) sarebbe sorta, a dirigere la mente, da poche migliaia di anni. Prima della coscienza, a dirigere le azioni umane vi sarebbe stata quella che Jaynes chiama “la mente bicamerale”. Ipersemplificando i concetti, essa avrebbe più o meno agito nel modo seguente: metà del cervello umano (in genere l’emisfero destro) elaborava le soluzioni operative ai problemi che la vita per sua natura pone, e li comunicava all’altra metà del cervello (in genere l’emisfero sinistro), preposta all’azione, la quale obbediva mettendo le soluzioni in atto. Tale comunicazione – e questo è il punto focale della teoria – sarebbe avvenuta mediante il linguaggio, che l’Uomo aveva appena evoluto. L’emisfero sinistro avrebbe letteralmente udito, ogni volta che ce ne fosse stato bisogno, una voce perentoria (proveniente dall’emisfero destro) ordinargli ciò che esso dovesse fare, ed avrebbe automaticamente obbedito, senza alcun arbitrio. Molte civiltà, dalla Mesopotamia all’India all’Egitto dei Faraoni, sarebbero quindi prosperate senza che alcun individuo di esse fosse mai cosciente nel modo a noi noto, in pieno regime di bicameralità mentale. Tale teoria è sostenuta da un’approfondita analisi di tutti i reperti che da quelle epoche ci giungono. Anche tutti quei bei personaggi del Vecchio Testamento e dell’Iliade che non facevano altro che udire voci che dicevano loro cosa dovessero fare, o erano matti (schizofrenici), o mentivano tutti, o erano mentalmente bicamerali. (secondo la teoria, la prima e la terza di queste opzioni si sovrapporrebbero parzialmente). Di vestigia della bicameralità mentale che fu il modo di pensare della nostra specie fino ad un centinaio di generazioni fa o giù di lì saremmo tuttora pieni, dalle regressioni nella schizofrenia, alle possessioni “diaboliche” medievali, al sonnambulismo (durante il quale infatti “scompare” la coscienza), all’ipnosi, all’idea stessa che esistano uno o più dèi i quali abbiano da tempo però smesso di manifestarsi a noi. L’esistenza in tutto il mondo delle religioni sarebbe la più evidente e persistente di tali vestigia, sintomo di una sorta di nostalgia della bicameralità perduta, delle scomparse voci divine che l’emisfero destro non produce più. Tale nostalgia ci indurrebbe a bere alcol, assumere droghe, frequentare chiese e discoteche, all’unico scopo di abbassare il livello della nostra coscienza ed avvicinarci così all’assenza della stessa propria del periodo della nostra antica bicameralità.
Personalmente trovo questa teoria convincente. In questa sede ne ho potuto ovviamente dare soltanto un fugacissimo cenno, ed ho voluto farlo non per sviluppare qui i temi di tale teoria, ma per informarvi che essa esiste e per indirizzare su di essa la vostra curiosità. Pur esistendo ed essendo plausibile, essa è ovviamente un’eresia per il mondo accademico, come eretica è sempre stata ogni idea realmente nuova. Ne sentiremo parlare di nuovo tra qualche decennio, quando gli attuali dogmatici anziani sapienti ufficiali ci avranno lasciato assieme alle loro certezze, e molti allora inizieranno a crederla senza capirla, come già accadde alle teorie di Copernico, di Galileo, di Darwin, di Freud, di Einstein, di Bohr, di Maxwell, e delle migliaia di altri geni che l’umanità non ha mai riconosciuto durante il loro essere geni senza ancora averne il titolo.
Se la teoria di Jaynes avesse fondamento, come io credo perché l’ho capita, sarebbe stato sufficiente l’intervallo di qualche centinaio di generazioni umane (una vera e propria inezia) per trasformare in modo clamoroso l’architettura della nostra organizzazione mentale. L’hardware, il cervello, sarebbe rimasto lo stesso (l’evoluzione biologica necessità di tempi mostruosamente più lunghi), ma il software, la modalità intrapsichica di organizzazione dell’Informazione, avrebbe addirittura trasformato ciò che era poco più di una bestia o comunque non di più di un malato mentale (dal nostro odierno punto di vista) in un essere umano completo, cosciente ed autocosciente ed anche cosciente di essere autocosciente.
Ne è passato di tempo dall’invenzione della ruota, è vero, ma le più eclatanti differenze non sono tanto il fatto che attaccata alla ruota ora ce ne sono altre tre ed anche l’automobile intera, quanto il fatto che il pur geniale inventore della ruota, se con una macchina del tempo venisse trasportato ai giorni nostri, verrebbe possibilmente internato in un manicomio con la diagnosi di schizofrenia.
Immensa ed incommensurabile è la differenza tra ciò che noi siamo e ciò che i nostri progenitori, sino a poco tempo fa (un paio di millenni), sono stati.
Immensa ma commensurabile è invece la diversità che ci separa dalla visione di se stessi, del mondo e dell’Universo che ebbero soltanto i bisnonni dei nostri trisnonni, poche centinaia d’anni fa. Nulla sapendo di chimica, dell’esistenza dell’elettricità, della psicologia, e di tutto ciò che adesso si sa, ebbero convinzioni totalmente assurde, se giudicate con senno di poi.
Nei dipinti sino al dodicesimo secolo non esiste la prospettiva. Poiché i nostri avi non la dipingevano, probabilmente non la conoscevano. Essi sapevano che qualcosa era più o meno distante, ma con tutta probabilità non erano in grado di vedere le linee della prospettiva. La realtà che i loro occhi vedevano era ben diversa dalla realtà che vedono i nostri. Incredibile, vero? Quando un secolo fa i fratelli Lumiere inventarono il cinema, proiettarono in una sala il film di un treno in movimento, ripreso frontalmente. Gli spettatori videro qualcosa di diverso da ciò che vedremmo noi. Essi non videro il film di un treno, bensì videro un treno vero e proprio che stava per investirli, e scapparono dal cinema in preda al panico. Incredibile, vero? Le categorie mentali cambiano in fretta.
In passato, anche il concetto di morte era profondamente diverso da oggi. In guerra, ognuno andava sistematicamente a morire senza problemi, in un modo che è sopravvissuto nei kamikaze giapponesi o ancora oggi tra certi estremisti islamici, che dal nostro punto di vista sono per questo folli, matti, pazzi. Ne consegue che soltanto pochi secoli fa, secondo il nostro punto di vista, tutti gli esseri umani erano folli, matti, pazzi. Ciò che è vero è che avevano tutti una mente profondamente diversa dalla nostra, priva di tutte quelle categorie di pensiero che per noi oggi sono le più importanti, prima fra tutte la precisa consapevolezza di essere vivi e la volontà, e non solo l’istinto, di rimanerlo. La “guerra” è stata una nobile arte fino alla prima guerra mondiale. Per accettare di farla, oggi, dobbiamo chiamarla “missione di pace” o “restore hope”. Le categorie di pensiero cambiano in fretta e bisogna aggiornare le etichette.
Nei suoi tratti genetici essenziali l’Uomo è immutato da centomila anni. Ma nei tratti mentali – quelli che effettivamente lo distinguono dal semplice animale – le trasformazioni sono travolgenti.
La maggior parte della SF si rende ridicola quando ipotizza, in uno dei prossimi secoli, spontanee mutazioni genetiche umane di significativa rilevanza. E’ inverosimile che tali improbabili eventi accadano domani o dopodomani per far comodo alle nostre trame. Ma l’evoluzione mentale non abbisogna degli stessi enormi lassi di tempo. La cultura che cresce stravolge continuamente la nostra visione del nostro passato e di ciò che noi siamo, producendo talvolta clamorosi salti evoluzionistici, come quello che ci ha traghettato dal periodo bicamerale dell’epoca biblica alla coscienza che oggi ci contraddistingue.
Sono dovuti passare centomila anni, durante i quali l’hardware del cervello dell’Uomo è rimasto pressoché invariato, prima che l’Uomo inventasse il Tempo. Il Tempo è stato inventato dall’Uomo centomila anni dopo che il suo cervello era strutturalmente abilitato a concepirlo. Il Tempo è sorto nella mente dell’Uomo dopo che l’Uomo evolse un linguaggio in grado di definirlo, ed uno spazio mentale ove rappresentarlo. Non v’è Tempo in una mente, se in essa non c’è linguaggio per circoscriverlo e quantificarlo. Per immaginare il Tempo, noi dobbiamo pensare ad esso come se fosse uno spazio. Ciò è una metafora. Non ci sono metafore senza linguaggio. L’Uomo creò l’idea di Tempo ben dopo al proprio linguaggio. L’invenzione del Tempo da parte dell’Uomo è un questione di software, non di hardware. Hardware del cervello umano è ovviamente adatto a concepire il tempo, ma è il software del cervello umano che lo concepisce.
Da Einstein in poi, la matematica ci suggerisce che il Tempo non sia disgiunto dallo Spazio, altro che nel nostro pensiero. Da Schrödinger in poi, il suo gatto ci suggerisce che qualsiasi cosa che esista, allo stesso tempo non esista se non vi è una mente che l’osservi. Da questo secolo in poi, appare evidente che oltre alla tecnologia sia il concetto di normalità a rapidissimamente mutare.
Il concetto di normalità è il prodotto essenziale della mente umana. Se cambia il concetto di normalità, vuol dire che sta cambiando la mente.
Vediamo il concetto di normalità cambiare di anno in anno. A livello più superficiale, tale cambiamento produce l’avvicendarsi di mode. Non ci sono mode tra i gatti. La mente dei gatti è statica. Ad un livello successivo, in tempi più lunghi, il mutare del concetto di normalità produce culture diverse. Quando interagiscono due persone con diversi concetti di normalità, volentieri entrano in lite, e comunque si disapprovano a vicenda. Quando interagiscono due popoli con diversi concetti di normalità, possono giungere a farsi la guerra, e comunque sempre si disapprovano a vicenda. L’umanità risolverà forse i suoi problemi quando per la mente umana diventerà normale il fatto che per ciascuno possa e anzi debba valere una normalità diversa.
La maggior parte della gente, ancora oggi, è misticamente convinta che il futuro non divergerà poi troppo dal presente, in nessun aspetto. Se così non fosse la fantascienza verrebbe avidamente letta da tutti ed inoltre non accadrebbe che gli anziani ultraventenni trovino a vario titolo fastidioso o scandaloso che una o più nuove mode scalzino la mode associate con la propria gioventù, quasi esse dovessero, a dispetto della più lampante evidenza, essere specchio di valori assoluti ed immutabili.
I lettori e soprattutto gli autori di fantascienza, invece, sanno o dovrebbero benissimo sapere che il futuro divergerà dal presente. Essi sono giustamente sensibili al ragionamento logico che una tendenza manifesta non si arresterà soltanto per fare comodo a noi. Applicano però il ragionamento al tangibile campo delle trasformazioni materiali conseguenti allo sviluppo tecnologico, e quasi mai a quell’altro e più importante campo, quello delle trasformazione immateriali della nostra organizzazione mentale.
Ad evolversi, nell’essere umano, è in primo luogo la mente, e con essa il concetto di normalità. Dire “concetto di normalità” o “cultura” è sostanzialmente la stessa cosa. Evolvendosi, la cultura espande e trasfigura il passato, reinterpretandolo continuamente, generando un futuro sempre più imprevedibile. La tecnologia è soltanto un dettaglio di tutto ciò.
Eppure la SF si ostina a non trascendere i propri ormai antichi dogmi. Pregiudizialmente legati all’imperativo dell’estrapolazione tecnologica, anche i migliori scrittori di SF contemporanei non sanno far di meglio che scimmiottare i loro antichi e geniali maestri, fieri di poter addobbare le loro trame con il gran carico di nozioni tecniche e relative implicazioni che l’umanità ha ammassato negli ultimi decenni. Ma tutto ciò non potrà durare a lungo, senza produrre un clamoroso salto di qualità.
La velocità con la quale i progressi della tecnologia incalzano hanno infatti reso la vita difficile agli scrittori di fantascienza. E’ sempre più difficile disegnare scenari che non siano già in partenza obsoleti in qualche loro aspetto. Fanno tenerezza i megacalcolatori grandi come un pianeta, pur genialmente pensati da Asimov negli anni 50, e funzionanti a valvole. Fanno tristezza, nelle pagine degli scrittori minori contemporanei, la sovente palese e patetica evidenza d’ignoranza circa moltissime conoscenze scientifiche già da tempo dall’Uomo raggiunte, e le mille orgogliose ostentazioni di ideuzze pseudotecniche, già sorpassate dai fatti, che l’autorucolo di turno così rivela di non conoscere. Ma anche gli autori di grido hanno i loro bei problemi. In un’epoca – questa fine di millennio – dove i miracoli della scienza sono ormai quasi all’ordine del giorno, ci tempestano dai giornali, dai telegiornali ed anche dagli approssimativi discorsi della gente qualunque, è sempre più arduo stupirsi di ciò che in un libro di fantascienza avviene. Siamo già da tempo nell’Era dei Miracoli. Ciò che oggi non è possibile lo sarà domani. Siamo nell’Era dei Miracoli e ci si aspetta i miracoli, si esige che ciò che non sia possibile oggi debba esserlo domani. Il miracolo sta diventando un diritto acquisito, e se tutte queste tendenze in atto di cui abbiamo ora parlato non si fermeranno – e la logica esclude che esse debbano prossimamente fermarsi (tranne che nel caso di una colossale e tutt’altro che improbabile catastrofe), giungeremo presto nell’Era del Miracolo Giornaliero o qualcosa del genere. Ancora una volta il futuro darà diverso dal presente al di là delle previsioni che ora possiamo azzardare e… che ruolo avrà allora la fantascienza?
In un epoca in cui i miracoli veri saranno davvero all’ordine del giorno (e non più ad intervalli di mesi od anni come oggi… o siamo già giunti alle settimane?), anche più volte al giorno, chi avrà ancora voglia di leggere di miracoli finti sui libri di fantascienza? E chi mai oserà scrivere romanzi che ineluttabilmente sarebbero sorpassati assai prima di essere completati?
Qui si scorge, ineluttabile, la fine della SF come la intendiamo noi. La SF che conosciamo noi non scomparirà, sia ben chiaro! Ma essa non sarà più una letteratura rivoluzionaria, come è stata per tutto il ventesimo secolo. Essa verrà forse insegnata in tutte le scuole e nelle università (o nei loro surrogati telematici), e sarà la nuova cultura ufficiale. A me, ed a quelli come me, essa non interesserà più, anche se produrrà moltissimi soldi.
La nuova SF rivoluzionaria, quella di cui non si parlerà nelle scuole e nelle università, quella che avrà compiuto il gran passo di trascendere se stessa, sarà tutt’altra cosa.
Immagino che la SF del futuro non si curerà più dei trascurabili dettagli dei miracoletti tecnologici che non stupiranno più nessuno. Poiché è ormai evidente che al di sopra di tutto è la mente umana che si sta evolvendo, la SF del futuro esplorerà l’ancora inconcepibile campo delle possibili evoluzioni della nostra mente, sbizzarrendosi nella creazione di ecosistemi mentali, di nuove impalcature semantiche, di nuovi sistemi di normalità e di chissà cos’altro.
Per un secolo, la letteratura di fantascienza è stata l’espressione della consapevolezza dell’uomo che la tecnologia sarebbe proceduta anche in futuro.
Oggi che anche i bambini sanno che nuovi miracoli tecnici ci attendono già fin dal prossimo anno, è scarsamente interessante oziare col pensiero soltanto sulla forma di tali magici oggetti a venire. Questi sono infatti solo trascurabili dettagli.
L’universo vergine, inesplorato dall’immaginazione umana, è il futuro della mente umana. Parallelamente alla tecnologia, la mente si trasforma con evidenza incalzante, ed è il momento che ci si inizi ad accorgere di tali trasformazioni, così come nel secolo scorso Jules Verne ed altri si accorsero delle trasformazioni della tecnologia. Cinquant’anni prima che la SF si affermasse nel mondo, Mary Shelley diede al mondo un modesto anticipo di ciò che in seguito sarebbe venuto in modo assai più grandioso. C’è adesso, nella recente storia della SF, un autore che abbia precorso i tempi, dandoci un modesto anticipo di ciò che in modo più grandioso verrà fra qualche decennio?
Forse c’è, o meglio, c’è stato. Lo conoscete tutti. E’ Philip K. Dick. Il suo ossessivo tentativo di distinguere tra ciò che è reale e ciò che sembra reale potrebbe essere l’ingenuo preludio della sinfonia di esplorazioni concettuali che adorneranno il ventunesimo secolo. Philip K. Dick come Mary Shelley, allora? Chi lo sa? Se così fosse, comunque, sappiamo che Dick non sapeva di inaugurare un nuovo ciclo del pensiero umano, come a suo tempo certamente non lo sapeva Mary Shelley. Si può essere geniali senza essere consapevoli di essere geniali, così come molte persone consapevoli di essere geniali in realtà non lo sono affatto. Tra la realtà e la consapevolezza che della realtà si ha c’è un abisso variabilmente ampio.
Rispetto ad alcune centinaia di generazioni fa la nostra mente ha inventato il Tempo, il Passato, il Passato Remoto, il Futuro, il Futuro Remoto, l’Universo ampio 15 miliardi di anni luce, gli Universi Paralleli, l’Io, la Consapevolezza della Vita e della Morte e molti altri graziosi ornamenti. Cosa inventerà in futuro? Dimentichiamoci gli stupidi aerotaxi e le sciocche astronavi sempre più lucenti e inutilmente verosimili. Le invenzioni che il futuro riserva alla mente umana sono per ovvietà clamorose, sono invenzioni della grandiosità del Tempo e dell’Io, dell’Universo e della Morte. E notando la crescente velocità con la quale le evoluzioni umane si manifestano, è lecito attendersi clamorosissime novità mentali già nel corso della nostra stessa esistenza, e diventa quindi intrigante la tentazione di fare del proprio meglio per accorgersi a tal punto delle novità che sorgono, da essere eventualmente addirittura parte di quelle stesse novità, qualsiasi cosa ciò possa significare.
Il futuro della fantascienza non sarà quello di prevedere miracoletti tecnici sempre più spesso sorpassati già all’atto di prevederli. Il futuro della fantascienza, nell’accezione migliore del termine “fantascienza”, sarà… anzi già è quello di esplorare le differenze che le trasformazioni nella mente dell’Uomo comporteranno per la vita dell’Uomo, proprio come il passato della fantascienza è finora stato e tuttora è quello di esplorare le differenze che la tecnologia dell’Uomo comporteranno per la vita dell’Uomo.
Una nuova etichetta per questa più evoluta forma letteraria… o meglio, forma mentale… sorgerà di certo, nel futuro prossimo. Non mi viene per ora in mente nulla di brillante, a riguardo, ma soltanto di ovvio e banale; “psico-SF”, “mind fiction” “thought fiction”…
Un’etichetta migliore verrà di certo in mente a qualcuno di voi.
© Roberto Quaglia 1995